LA FIDUCIA DEGLI ITALIANI MAL “RIPOSTA” NELLA POSTA

Le Sezioni Unite Civili con la sentenza n. 9769 del 26/05/2020, su una questione di particolare importanza, hanno affermato il seguente principio di diritto: “La spedizione per posta ordinaria di un assegno, ancorché munito di clausola d’intrasferibilità, costituisce, in caso di sottrazione del titolo e riscossione da parte di un soggetto non legittimato, condotta idonea a giustificare l’affermazione del concorso di colpa del mittente, comportando, in relazione alle modalità di trasmissione e consegna previste dalla disciplina del servizio postale, l’esposizione volontaria del mittente ad un rischio superiore a quello consentito dal rispetto delle regole di comune prudenza e del dovere di agire per preservare gl’interessi degli altri soggetti coinvolti nella vicenda, e configurandosi dunque come un antecedente necessario dell’evento dannoso, concorrente con il comportamento colposo eventualmente tenuto dalla banca nell’identificazione del presentatore”.
Tale principio si innesta tra una serie di precedenti giurisprudenziali delle Sezioni Unite che hanno affermato la responsabilità dell’istituto di credito in caso di pagamento dell’assegno non trasferibile in favore di un soggetto diverso da quello effettivamente legittimato, rilevando in particolare che:

a) la domanda di rimborso del relativo importo proposta dal traente o dal richiedente nei confronti della banca trattaria o negoziatrice si distingue da quella avente ad oggetto il pagamento dell’assegno: non ha natura cambiaria, ma risarcitoria, in quanto trova fondamento non già nell’inadempimento del debito incorporato nel titolo, al cui pagamento la banca è tenuta esclusivamente nei confronti del prenditore, ma nella violazione dell’obbligo di procedere all’identificazione di colui che ha presentato il titolo all’incasso, previsto dal R.D. n. 1736 del 1933, art. 43 a tutela di tutti i soggetti interessati alla regolare circolazione del titolo (cfr. Cass., Sez. Un., 26/06/2007, n. 14712);
b) la responsabilità della banca negoziatrice ha natura contrattuale: la banca ha l’obbligo professionale di protezione (preesistente, specifico e volontariamente assunto) di proteggere tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione, affinché il titolo sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità alle regole che ne disciplinano la circolazione e l’incasso (Sez. Un. 21/05/2018, n. 12477).
Con tali precedenti le Sezioni Unite Civili ribadiscono che, al fine di sottrarsi alla responsabilità, la banca ha l’onere di provare di aver assolto alla propria obbligazione (ai sensi dell’art. 1176 c.c., comma 2) con la diligenza dell’operatore professionale, responsabile anche per colpa lieve.

E’ stato inoltre chiarito che lo scopo della clausola di intrasferibilità consiste non solo nell’assicurare all’effettivo prenditore il conseguimento della prestazione dovuta, ma e soprattutto nell’impedire la circolazione del titolo, giusta la norma di cui al R.D. n. 1736 del 1933, art. 73 (che esclude l’ammortamento dell’assegno non trasferibile proprio perché il titolo non può essere azionato da un portatore di buona fede e nel contempo conferisce al prenditore, come conseguenza indiretta, la maggior sicurezza di poterne ottenere un duplicato denunciandone lo smarrimento, la distruzione o la sottrazione al trattario o al traente).
In questo contesto, i Supremi Giudici rilevano che ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, la riduzione della responsabilità del danneggiante è configurabile non solo in caso di cooperazione attiva del danneggiato nel fatto dannoso posto in essere dal danneggiante, ma in tutti i casi in cui il danneggiato si esponga volontariamente ad un rischio superiore alla norma, in violazione di norme giuridiche o di regole comportamentali di prudenza avvertite come vincolanti dalla coscienza sociale del suo tempo, con una condotta (attiva od omissiva che sia) che si inserisca come antecedente necessario nel processo causale che culmina con il danno da lui subito.
Pertanto la scelta di avvalersi della posta ordinaria per la trasmissione di un assegno, pur in presenza di altre forme di spedizione (posta raccomandata o assicurata) o di strumenti di pagamento ben più moderni e sicuri (quali il bonifico bancario o il pagamento elettronico), si traduce nella consapevole assunzione di un rischio da parte del mittente.
Tale esposizione volontaria al rischio, o comunque la consapevolezza di porsi in una situazione di pericolo, giustifica il riconoscimento del concorso di colpa del danneggiato.
Le Sezioni Unite precisano, d’altra parte, che non si può attribuire efficacia giuridicamente vincolante alle norme che disciplinano il servizio postale, le quali, in quanto operanti esclusivamente nei rapporti tra il gestore del servizio ed i soggetti che se ne avvalgono per la spedizione della propria corrispondenza, non possono costituire un riferimento normativo utile, almeno in via diretta, ai fini della disciplina dei rapporti con i terzi. Difatti la mera inosservanza del divieto, posto dal D.P.R. n. 156 del 1973, art. 83 d’includere denaro, oggetti preziosi e carte di valore esigibili al portatore nella corrispondenza ordinaria o in quella raccomandata, così come quella dell’art. 84 medesimo D.P.R., il quale impone di assicurare le lettere ed i pacchi contenenti i beni, non costituisce una ragione sufficiente a fondare l’affermazione del concorso di colpa del mittente.
Per converso, però, l’utilizzazione della posta ordinaria implica la perdita di ogni controllo in ordine alla fase della trasmissione, della quale il mittente non è in grado di conoscere nè il percorso nè lo stato di avanzamento, essendosi privato della possibilità di verificarne l’esito, almeno fino a quando il destinatario del plico non ne segnali la mancata ricezione. Ciò comporta, nel caso in cui il servizio di posta ordinaria venga utilizzato per la spedizione di un assegno, l’assunzione da parte del mittente di un evidente rischio, consistente nella sottrazione del titolo e nella sua presentazione all’incasso da parte di un soggetto non legittimato, che lo espone all’obbligo di effettuare un nuovo pagamento in favore del beneficiario rimasto insoddisfatto, impedendogli nel contempo di rivalersi nei confronti della banca trattaria o negoziatrice, ove la stessa abbia incolpevolmente provveduto al pagamento dell’assegno.
In quest’ottica, pertanto, l’utilizzazione della posta ordinaria si pone in contrasto non solo con le regole di comune prudenza (le quali suggerirebbero di avvalersi di modalità di trasmissione più idonee ad assicurare il controllo sul buon esito della spedizione) ma anche con il dovere di agire in modo da preservare gl’interessi di tutti i soggetti coinvolti nella vicenda, ove ciò non comporti un apprezzabile sacrificio a proprio carico: ciò in ossequio al principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost., che a livello di legislazione ordinaria trova espressione proprio nella regola di cui all’art. 1227 c.c., operante sia in materia extracontrattuale, in virtù nell’espresso richiamo di tale disposizione da parte dell’art. 2056 c.c., sia in materia contrattuale, come riflesso dell’obbligo di comportarsi secondo correttezza e buona fede, previsto dall’art. 1175 c.c. in riferimento sia alla formazione che all’interpretazione e all’esecuzione del contratto (cfr. Cass., Sez. Un. 21/11/2011, n. 24406; Cass.civ. 26/05/2014, n. 11698 e Cass.civ. 5/03/2009, n. 5348).

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